Se a distanza ormai di tanti anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94, e dopo tanta Formazione erogata ai lavoratori, non si sono ancora raggiunti risultati ottimali, il problema è forse quello non tanto dei contenuti, quanto della progettazione dei corsi.
In tema di sicurezza sul lavoro, il corso di formazione ideale dovrebbe tener presente, oltre alle caratteristiche di tipo socio- culturale dei destinatari, anche e soprattutto i meccanismi che vengono attivati dagli individui per rappresentarsi il problema (in questo caso il rischio lavorativo cui sono sottoposti) ed andare, di conseguenza, ad agire strategicamente proprio su queste dinamiche psicologiche.
I giovani non colgono la pericolosità a sufficienza? Il motivo è che hanno attivato l’euristica della disponibilità e sarà sulla conoscenza di questo dato che andrà tarato l’intervento.
Le persone più anziane hanno maggior rappresentazione della frequenza? La regola che hanno applicato per comprendere il problema è stata l’euristica dell’ancoraggio.
Se le donne hanno minor sensibilità nei confronti della gravità, si può anche ipotizzare che la frequenza con cui sono state vittime di danni gravi sia inferiore a quella degli uomini per un semplice dato statistico, quello del minor impiego, e per l’assegnazione di mansioni meno a rischio infortuni.
Se, infine, le categorie con più basso grado di istruzione sono le meno recettive al cambiamento successivamente alla frequentazione di un corso, ciò può essere dovuto anche alla difficoltà di comprensione del contenuto.
Capita purtroppo molto, troppo, spesso che il docente non tenga conto del livello di scolarità dell’aula in cui opera, e riproponga sempre lo stesso pacchetto formativo standard. Il problema è proprio questo:
fare formazione
non corrisponde a fare docenza.
In un tema delicato come quello della tutela della salute e della vita, nei posti di lavoro, non ci si può limitare a scegliere come docente un esperto in normative, un giuslavorista, o un tecnico specializzato nella mansione che si va ad illustrare. La figura da privilegiare è quella di un esperto in processi formativi, che sappia progettare e realizzare un percorso nel rispetto di tutti i canoni che la scienza della formazione prevede per consentire il raggiungimento del giusto saper essere. Qualora il progettista non fosse sufficientemente preparato su alcune delle tematiche specifiche da trattare, si potrà affidare lo svolgimento di quel particolare argomento ad un esperto del settore (si pensi agli elementi di Pronto Soccorso, alle tecniche antincendio, alla guida dei carrelli elevatori ecc.), ma assolutamente mai si potrà prescindere dalla competenza di un formatore professionista nella progettazione del corso.
Per quanto riguarda poi possibili sviluppi futuri dei corsi di formazione in tema di sicurezza sul lavoro, ispirandomi a quanto già ipotizzato da altri Autori a proposito del problema degli incidenti stradali degli adolescenti, mi sento di ipotizzare l’inserimento nell’ambito del corso di formazione, di testimonianze dirette di quanti, addetti a mansioni uguali o analoghe a quelle dei partecipanti, hanno corso i medesimi rischi e purtroppo ne hanno subito gravi conseguenze, patendo ancor oggi il peso del danno riportato, con la propria invalidità.
Un esempio così concreto, visibile e tangibile, introdotto in aula, è una valida leva motivazionale, che oltretutto prescinde dal grado di cultura, dall’età e dal sesso dei partecipanti, e potrebbe quindi favorire, in modo uniforme, un aumento della percezione del rischio, dando una giusta dimensione alle euristiche di ragionamento di chi si appresta ad agire in sicurezza.
Cristiana Clementi