RUBRICA: Quello che non si vuol vedere
Le discriminazioni dissimulate
Come dice in un suo saggio Faucault, a proposito del quadro “Questo non è una pipa” di Magritte, il segno non è mai la cosa.
Così accade anche al di fuori dell’arte, dove il “detto” non sempre è il “pensato” o meglio, ciò che viene detto spesso dissimula un pensiero totalmente diverso da quanto appaia ad un ascoltatore distratto.
Viviamo in un Paese che promuove valori nobili e universalmente apprezzabili, come la democrazia, l’uguaglianza, la libertà di pensiero, il rispetto, il rifiuto delle discriminazioni, l’accoglienza e via dicendo. Eppure ci ostiniamo a non voler vedere quanta ipocrisia ci sia a volte nelle modalità con cui tentiamo di mettere in pratica questi valori nei gesti quotidiani.
Partiamo dalle notizie di un telegiornale. Ho sentito oggi annunciare che stanno per essere celebrate le esequie dell’ultima ragazza vittima dell’incidente stradale in Spagna. Il particolare che mi ha colpito è stato l’inciso fatto dalla giornalista: “Si svolgeranno oggi i funerali – con rito civile - dell’ultima vittima…” Una piccola frase, del tutto inutile a mio parere, buttata lì con subdola noncuranza, ma che ci richiama in modo subliminale il concetto che la regola sia fare una cerimonia religiosa. Certo, tutto è ammesso e rispettabile, ma non a tal punto da passare inosservato.
Continuiamo. Nei giorni scorsi, in occasione dell’ultimo terribile attentato in Belgio, abbiamo potuto assistere, ancora una volta, alla consolidata prassi della identificazione collettiva nel dolore del popolo colpito. E ancora una volta, esattamente come accaduto dopo le stragi di Parigi, sono comparse sui social bandiere giallo-rosso-nere che inglobano i volti nei profili degli utenti, coccarde in segno di lutto appuntate sulle immagini più disparate, primi piani di occhi che piangono, rivendicazioni di una nazionalità acquisita sul campo: “siamo tutti il Belgio!” (questa volta però i più hanno indicato la nazione e non i suoi abitanti, vista forse la difficoltà del plurale).
Sembrerebbe vera solidarietà (e probabilmente in molti casi lo è) se non fosse poi che radio, tv, giornali, gente comune se ne escono con la fatidica frase “fortunatamente non ci sono Iitaliani tra le vittime”. Ma mi spiegate cosa diavolo centra??? Cosa vuol dire: siamo forse più importanti degli altri?
Concludo con un appello alle pari opportunità rivolto a quei giornalisti (radio, video e di carta stampata) che omettono sempre di citare la nazionalità dei pirati della strada italiani. Perché penalizzarli? Perché discriminarli? Perché non offrire loro lo stesso momento di gloria che viene garantito agli stranieri, extra comunitari e non, ogni qualvolta salgono in macchina ubriachi, drogati, senza patente ma con licenza di uccidere? Allora ditelo: siamo tutti uguali, ma c’è sempre qualcuno più uguale degli altri!!!