“Il cannibalismo dei ruoli” sbarca ad Avola!

Presentato il libro nell'ambito del convegno: "L'importanza dei ruoli nella società del Terzo Millennio"

 

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Bellissima occasione di confronto con validissimi colleghi su un tema cruciale e di grande attualita': l’importanza dei ruoli nella nostra società.
Un grazie per il rilievo dato al mio libro “Il cannibalismo dei ruoli” all’assessore Caldararo, al dott. Giuseppe Cascio, al prof. Francesco Pira, al dott. Portuesi e al prof. Scaglione.

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L’affluenza e l’attenzione del pubblico intervenuto alla presentazione mi hanno confermato, ancora una volta, che parlare di questi argomenti non solo è utile, ma doveroso. L’unica strategia per affrontare le problematiche che caratterizzano questo periodo storico e affliggono famiglie, giovani, scuola, donne, è fare formazione, creare consapevolezza, stimolare senso critico, rafforzare motivazione e resilienza. A cominciare dai più piccoli.  E’ in quest’ottica che sto preparando un interessante progetto che mira a modificare l’approccio alle emozioni anche nella scuola. Il mio appello e': non arrendiamoci ora, avanti tutta! 46513530_972660742919582_8714157785073319936_n46525419_972660719586251_4372229278004150272_n

Caffè ed Emozioni

Articolo pubblicato sul Blog di Caffè Milani

coffee-2242247_1920          “Caffè… l’aroma delle emozioni”

Chi pensa che il caffè sia semplicemente una bevanda, è decisamente fuori strada. Esattamente come cadono in errore coloro i quali pensano che le emozioni non abbiano colore, sapore, profumo. Il nostro cervello, infatti, è fortemente sensibile a tutti gli stimoli sensoriali che provengono dall’esterno e riesce a trasformare un input visivo, olfattivo o uditivo in un’emozione. Dall’emozione allo stato d’animo poi, il passo è breve ed ecco perché un semplice gesto come quello di percepire e annusare il profumo che emana da una tazzina di caffè appena versato, innesca in noi un meccanismo di piacere, che va a soddisfare svariate esigenze. Quello del caffè è da sempre un vero e proprio rito che pratichiamo in modo funzionale alla ricerca del nostro benessere, ognuno in base al bisogno che avverte: un caffè per svegliarci, un caffè per rilassarci in un attimo di pausa, un caffè per ripagarci dello stress accumulato durante la giornata, un caffè per trovare la giusta concentrazione o per gratificarci al termine di un lavoro. Ma non solo. Un aspetto molto importante a livello emotivo-relazionale è l’opportunità di socializzazione che viene fornita dal condividere con altri la degustazione di un buon caffè. Si pensi all’ambito lavorativo, alla classica macchinetta del caffè in azienda, davanti alla quale avvengono scambi di opinioni, si perfezionano strategie d’impresa, si confidano segreti, nascono alleanze o ci si lascia andare a confidenze con i colleghi (ne è nata persino una fiction televisiva!). Mi riferisco anche ai “caffè letterari”, che ancora esistono in molte città d’Europa o nell’Italia di origine mitteleuropea o al “caffè filosofico” che viene organizzato la domenica nei bar di Parigi per fornire l’occasione a quanti lo desiderano di scambiare opinioni su temi che altrove non vengono trattati. Il caffè dunque parla di noi: delle nostre abitudini, della nostra vita, delle esigenze che abbiamo, della nostra cultura, delle emozioni che proviamo. Possiamo imparare tanto della nostra società e scoprire anche qualcosa di noi che forse non conosciamo, se ci soffermiamo a riflettere sul senso che hanno i gesti e sul valore che attribuiamo alla ritualità di certe abitudini.

Basta saper guardare dentro la tazzina per scoprire il mondo che è in noi e assaporare anche…l’aroma delle emozioni.

 

Cristiana Clementi

Formatore Emotivo Relazionale

 

Terremotati versus Immigrati. A chi giova?

 

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Generalmente non mi occupo di politica, ma in questi giorni non posso fare a meno di riflettere su quanto vedo, sento e leggo su media e social. La riflessione che faccio non è infatti di natura politica, ma è strettamente attinente alla mia professione o meglio riguarda i destinatari diretti della mia professione: le persone.

Mi infonde una immensa tristezza vedere come la storia non ci abbia insegnato nulla. Vico, Bloch, gli antichi Romani….niente. Possibile non ci si renda conto che il “divide et impera” di latina memoria è ancora perfettamente in auge? Davvero non ci rendiamo conto che ci stanno aizzando gli uni contro gli altri spingendoci a partecipare ad una assurda lotta tra poveri con la conseguenza di creare fazioni opposte e scatenate a sostegno chi degli uni, chi degli altri, senza tener conto che siamo tutti vittime di uno stesso dramma? Che senso ha stilare delle graduatorie tra chi va aiutato prima, prendersela perchè viene aiutato un terremotato anzichè un altro o un immigrato al posto di un terremotato? La cattiva gestione della politica e della cosa pubblica ci porta ad azzannarci tra noi, per concedere a chi ci ha portati in queste situazioni di criticità, trasversalmente e a livello mondiale, di continuare a compiere lo scempio che ha  sinora provocato. La strategia dell’odio, della diffidenza, del cinismo, ci stanno facendo perdere di vista la centralità dell’essere umano e l’importanza dell’essere umani.

E tutto ciò a vantaggio di chi? Non certo dell’Uomo in quanto tale. Come direbbe per l’appunto Gian battista Vico,  << il senso della storia è nella storia e, nello stesso tempo, fuori di essa: gli effetti delle azioni vanno sempre oltre l’intenzionalità specifica degli uomini; l’uomo fa più di quanto sa e spesso non sa quello che fa.>>

 

La sindrome di Erostrato

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Assistendo a programmi demenziali come quello trasmesso sabato, in prima serata, dalla rete ammiraglia di Mediaset, viene spontaneo chiedersi: cosa spinge persone che non appartengono al mondo dello spettacolo a mettersi alla berlina e a mortificare la propria immagine, pur di diventare protagonisti del piccolo schermo?

Il primo esempio di spasmodica “fame di fama”, lo troviamo nell’antica Grecia, dove un personaggio di nome Erostrato, pur di uscire dall’anonimato e passare alla storia, decise di dar fuoco al Tempio della dea Atena e di rivendicare a gran voce il misfatto, chiedendo a tutti di ricordare chi fosse stato l’autore di cotanto atto. Se siamo qui a parlarne…Erostrato è evidentemente riuscito nel suo intento, ma a che prezzo? La sua ostentata presa di posizione gli costò la vita, a causa della gravità di quanto aveva compiuto. E oggi? Ottenere visibilità ad ogni costo, diventare famosi per le proprie debolezze, per i difetti fisici, per comportamenti inadeguati, rendersi vittime consenzienti di smaliziati aguzzini mediatici non costa certo la vita, ma mortifica la dignità di Persona che ognuno di noi dovrebbe considerare il suo bene più caro.

Possiamo cercare di aiutare chi non coglie questo aspetto importante e soccombe a logiche di mercato che non gli appartengono o non gli sono chiare. Ma con coloro che deliberatamente sfruttano questi meccanismi psicologici a fini di audience ed introiti pubblicitari, che fare? Ebbene, esiste un rimedio strepitoso: il telecomando. Sveglia pubblico!!!

In montagna si saluta…in città no. Geolocalizzazione dell’educazione.

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Abituata a mattiniere e solitarie passeggiate in montagna, con il mio cane, ho deciso di mantenere questa bella abitudine anche rientrata a casa. Ma ho tentato anche un altro esperimento.Sulle stradine di montagna, quando si incrocia un altro camminatore, è normale salutarsi con un cordiale buongiorno, anche se non ci si conosce. Pensavo che, alle sette del mattino, passeggiando lungo il Naviglio immersi nella natura e nel silenzio, imbattendosi in qualcuno che viveva la tua stessa esperienza, sarebbe stato carino salutarlo…. Risultato: 5 buongiorno, 1 risposta. In particolare, incrociando i colleghi di passeggiata: occhi bassi, improvviso interesse per i propri piedi, per l’orologio al polso o, peggio, sguardi persi in orizzonti lotani, immersi in chissà quali urgenti pernsieri. Ma non solo. Salutando per prima (e unica!) mi sono vista osservare con preoccupata attenzione, quasi il mio interlocutore si stesse chiedendo oltre a chi fossi, da quale patologia potessi essere affetta o, quantomeno, quale sarebbe stata la mia prossima mossa (volevo forse qualcosa??).
Qualcuno risponde al mio quesito? Cosa cambia tra un sentiero di montagna ed una stradina di campagna? Quale forma di ipocrita educazione porta un turista cittadino a salutare in montagna, fingendosi un montanaro DOC, e consente allo stesso di non rispondere al saluto di un suo concittadino, una volta rientrato a casa? Se iniziassimo tutti la giornata con un bel saluto a chi incontriamo, senza porci troppe domande su chi lo deve fare per primo, se si fa o non si fa, su cosa penserà chi riceve il saluto ecc. ecc.ma ricordando di essere tutti persone sulla stessa terra…forse le cose andrebbero meglio.
Comunque, fatte queste esternazioni a voce alta al mio cane mentre camminavamo, si è girato, mi ha sorriso…e abbiamo continuato la passeggiata.

RUBRICA: “Quello che non si vuol vedere”

Uniamo le nostre solitudini?

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RUBRICA: Quello che non si vuol vedere

 

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 Uniamo le nostre solitudini

Questa semplice frase ci riporta immediatamente al tempo che fu. Ricordate quando, timidamente,  si tentava un approccio tra single (magari persone vedove o comunque in difficoltà a relazionarsi) usando proprio queste parole?

L’altro giorno, andando a Milano in metropolitana, facevo questa riflessione: la gente non sa più stare sola, nemmeno per poche decine di minuti. Non si ha voglia di perdere tempo a pensare, non c’è interesse a guardarsi intorno, a riflettere, non si sa più semplicemente godersi un istante di pausa parlando solo con se stessi. Appena si entra nella carrozza della metro (rigorosamente di corsa, anche se il treno è fermo al capolinea e partirà dopo dieci minuti!) si estrae dalla tasca o dalla borsa il cellulare e via di messaggi, whatsapp, social o giochini on line.

Quante solitudini, tutte insieme, che non riescono più nemmeno a dire a parole “ci uniamo?”, ma si ritrovano di fatto unite in rete. Parlano virtualmente con un interlocutore che ha il potere di farle sentire parte di un gruppo, le coinvolge in sfide colorate con diaboliche caramelle che scoppiano, riempie il loro tempo prezioso di faccine smorfiose che prendono il posto di parole semplici ormai tanto difficili da scrivere… L’importante è non rimanere inattivi nemmeno per un istante.

Proponeva Fromm l’interessante dilemma Essere o Avere, ma oggi lo potremmo tranquillamente trasformare in un nuovo quesito: essere o fare? Fare, fare, fare…sempre fare, per non fermarsi a pensare, per non voler vedere quanto si è soli. E pensare che basterebbe così poco. Basterebbe alzare lo sguardo, guardarsi attorno e scoprire un prossimo che non aspetta altro che noi gli rivolgiamo la parola. “Buongiorno! Lo sa? Lei…mi piace”.

RUBRICA: “Quello che non si vuol vedere”

Le discriminazioni dissimulate

 

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RUBRICA: Quello che non si vuol vedere

 

 

 

 

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Le discriminazioni dissimulate

Come dice in un suo saggio Faucault, a proposito del quadro “Questo non è una pipa” di Magritte, il segno non è mai la cosa.

Così accade anche al di fuori dell’arte, dove il “detto” non sempre è il “pensato” o meglio, ciò che viene detto spesso dissimula un pensiero totalmente diverso da quanto appaia ad un ascoltatore distratto.

Viviamo in un Paese che promuove valori nobili e universalmente apprezzabili, come la democrazia, l’uguaglianza, la libertà di pensiero, il rispetto, il rifiuto delle discriminazioni, l’accoglienza e via dicendo. Eppure ci ostiniamo a non voler vedere quanta ipocrisia ci sia a volte nelle modalità con cui tentiamo di mettere in pratica questi valori nei gesti quotidiani.

Partiamo dalle notizie di un telegiornale. Ho sentito oggi annunciare che stanno per essere celebrate le esequie dell’ultima ragazza vittima dell’incidente stradale in Spagna. Il particolare che mi ha colpito è stato l’inciso fatto dalla giornalista: “Si svolgeranno oggi i funerali – con rito civile - dell’ultima vittima…” Una piccola frase, del tutto inutile a mio parere, buttata lì con subdola noncuranza, ma che ci richiama in modo subliminale il concetto che la regola sia fare una cerimonia religiosa. Certo, tutto è ammesso e rispettabile, ma non a tal punto da passare inosservato.

Continuiamo. Nei giorni scorsi, in occasione dell’ultimo terribile attentato in Belgio, abbiamo potuto assistere, ancora una volta, alla consolidata prassi della identificazione collettiva nel dolore del popolo colpito. E ancora una volta, esattamente come accaduto dopo le stragi di Parigi, sono comparse sui social bandiere giallo-rosso-nere che inglobano i volti nei profili degli utenti, coccarde in segno di lutto appuntate sulle immagini più disparate, primi piani di occhi che piangono, rivendicazioni di una nazionalità acquisita sul campo: “siamo tutti il Belgio!” (questa volta però i più hanno indicato la nazione e non i suoi abitanti, vista forse la difficoltà del plurale).

Sembrerebbe vera solidarietà (e probabilmente in molti casi lo è) se non fosse poi che radio, tv, giornali, gente comune se ne escono con la fatidica frase “fortunatamente non ci sono Iitaliani tra le vittime”. Ma mi spiegate cosa diavolo centra??? Cosa vuol dire: siamo forse più importanti degli altri?

Concludo con un appello alle pari opportunità rivolto a quei giornalisti (radio, video e di carta stampata) che omettono sempre di citare la nazionalità dei pirati della strada italiani. Perché penalizzarli? Perché discriminarli? Perché non offrire loro lo stesso momento di gloria che viene garantito agli stranieri, extra comunitari e non, ogni qualvolta salgono in macchina ubriachi, drogati, senza patente ma con licenza di uccidere? Allora ditelo: siamo tutti uguali, ma c’è sempre qualcuno più uguale degli altri!!!

RUBRICA: “Quello che non si vuol vedere”

Quando si è i primi…ma non gli unici

io RUBRICA: Quello che non si vuol vedere

 

 

 

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Quando si è i primi…ma non gli unici

Inutile negarlo: sono tantissime le persone che vivono situazioni affettive complicate.  Prima di arrivare alla separazione spesso passano degli anni e, nel frattempo, si mantengono i rapporti sia con l’attuale coniuge che con la persona con cui ci si è legati. Non è facile per nessuno affrontare queste problematiche: né per chi viene lasciato, né per chi  lascia, né per chi sta accanto ad un compagno non ancora del tutto libero.

E’ proprio in questi casi che risulta ancora totalmente assente un supporto formativo di tipo     emotivo-relazionale che aiuti a superare le difficoltà alla nuova coppia che si sta creando.

Mentre a coniugi, fidanzati, conviventi è logico suggerire di affrontare la crisi rivolgendosi ad uno specialista (consulente matrimoniale, psicoterapeuta, psicologo, consultorio, ecc.), si ha ancora pudore, o paura di sconfinare nell’immoralità, se ci si preoccupa di salvaguardare il benessere di coppie non ufficiali. Spesso ci si limita a osservare, giudicare e, perché no, condannare. Oppure si fa finta di non conoscere il problema, uno di quelli che solitamente capita agli altri, ma a noi…a noi no, non potrebbe mai succedere. Ecco allora che, inconsciamente, preferiamo non vedere, non sapere, non affrontare. Del resto…come si fa ad affrontare con empatia il problema di chi fa qualcosa che non dovrebbe? Già, la sospensione del giudizio, purtroppo, è una pratica ancora troppo poco diffusa nella nostra società.

Pongo l’attenzione su questo particolare problema, non certo per sdoganare il concetto di tradimento o per incentivare lo sfascio delle coppie, ma per onestà intellettuale e professionale.

Le persone che si trovano a vivere situazioni di questo tipo, infatti, non sono affatto poche ed è corretto prendere atto anche di questi spaccati di vita, senza girare lo sguardo dall’altra parte. Quanti si trovano a dover gestire per periodi medio-lunghi situazioni di menage a tre, per i più svariati motivi. Trovandosi però dalla così detta parte sbagliata, accettano di dover pagare lo scotto dello star male, della sofferenza, forse per espiare la colpa che il giudizio di tutti – a volte in primis anche la loro stessa autocensura – fa provare con insistenza. Un disagio molto più diffuso di quanto si creda, al quale nella maggior parte dei casi non si da voce: il Natale da soli a casa, le vacanze separati, il compleanno festeggiato la settimana dopo, il senso di colpa nei confronti della persona con cui si vive, che non ami più ma non odi e, contemporaneamente, lo stesso senso di inadeguatezza  verso chi ami e non puoi ancora vivere.  I silenzi in casa, ma anche quelli di quando esci con il nuovo partner, lo stress delle bugie, lo sforzo per non dire quello che hai dentro, altrimenti si litiga, e non ha senso litigare quando le ore per stare insieme sono così poche. La forza per non discutere quando si rientra a casa e si evitano sguardi e domande. Poi il mal di testa, il mal di stomaco, la depressione, il non uscire più con gli amici, il nervosismo immotivato con i figli, il calo di rendimento sul lavoro.

Essere “l’altro” vuol dire anche tutto questo e ciò accade inevitabilmente quando si è i primi nel cuore di qualcuno, ma non si è gli unici.

A volte si crolla e si sceglie di rinunciare alla nuova relazione, ma il rimedio è forse peggiore del danno: da un lato, non è l’incapacità a reggere la situazione la motivazione giusta per rientrare in famiglia o per lasciare il partner già impegnato e, nello stesso tempo, non è nemmeno giusto iniziare con dei non detti o con dei rancori una nuova storia, che, anche quando le cose saranno risolte, vanterà sempre dei buchi neri che torneranno prepotenti alla prima lite.

E’ per tutto ciò che ritengo utile, in qualunque tipo di circostanza e per qualsiasi tipo di problema, possedere le competenze emotive necessarie per affrontare le criticità.  Sarà poi il nostro libero arbitrio a farci decidere come usarle.

Gli strumenti che ci servono per la sopravvivenza quotidiana sono quelle risorse che possediamo senza saperlo, senza nemmeno averle mai sperimentate: sono le nostre armi personali, armi che non tolgono la vita, ma che al contrario ce la migliorano, perché consentono di viverla con piena consapevolezza, forza e determinazione.

  • Capire cosa si vuole veramente
  • Mantenere alta la propria autostima
  • Affrontare i sensi di colpa
  • Non annullarsi nell’altro ma relazionarsi
  • Comunicare in modo non violento

L’obiettivo dell’essere umano è sempre e comunque il proprio ben-essere e questo non può basarsi su compromessi con sé stessi, su condizionamenti o forzature. La conoscenza delle proprie emozioni e la capacità di gestirle sono ciò che fa la differenza.