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È ancora possibile educare?

Dibattito intorno al libro “L’Educazione (Im)possibile” di Vittorio Andreoli

Ritengo l’argomento educazione molto interessante per tutti noi, sia per gli addetti ai lavori, che per genitori, ma anche semplicemente per noi in quanto appartenenti alla collettività, alla società. E il problema dell’educazione È un problema sociale.

Per trattare questo tema, prenderò spunto dall’ultimo libro del prof. Andreoli che, come tutti sapete, è uno psichiatra che da sempre si occupa dei problemi dei giovani, del disagio, ma soprattutto delle problematiche legate al periodo dell’adolescenza.

Questo libro, che Andreoli stesso tiene a definire non un manuale, con tecniche e ricette da seguire, bensì uno spunto di riflessione per tutti noi, si presenta con un titolo emblematico: L’educazione (im)possibile. Vedete, proprio quella parentesi, rappresenta un po’ lo spirito stesso del libro. Sembrerebbe una affermazione pessimistica, ma in realtà così non è e Andreoli lascia intravedere uno spiraglio, ad una condizione però, che io traduco in parole povere, terra a terra, con una affermazione: è ancora possibile educare? Sì, purché signori ci diamo una smossa!

Andreoli realizza una fotografia molto precisa della società di oggi, senza giudizi o valutazioni, in modo obiettivo e ci spinge ad esercitare il nostro senso critico su ciò che vediamo, viviamo, facciamo e diciamo. Soprattutto, cerca di descrivere le caratteristiche principali del periodo adolescenziale, fornendo così ai genitori delle informazioni preziose per capire meglio i propri figli. Vorrei citare le principali.

Innanzi tutto, va tenuto presente che l’adolescenza è un periodo di METAMORFOSI, fisica, mentale e sociale e, come tutti i cambiamenti fa PAURA. Si abbandona un periodo dorato, come l’infanzia, dove il nostro mondo è circoscritto a poche figure, stabili e rassicuranti, per passare ad un mondo sconosciuto, più ampio, dove spunta la paura della solitudine, la paura di non essere accettati, dove iniziamo ad avere un ruolo sociale e temiamo di non essere all’altezza, dove per la prima volta ci sentiamo giudicati, mentre nell’infanzia davamo per scontato di essere accettati da mamma e papà per come eravamo, e tutto questa fa una gran paura. Spesso poi, come sappiamo, la paura non viene gestita e si trasforma in atteggiamenti di aggressione e reazione spropositata. (PARENTESI: un’informazione molto utile e tranquillizzante che Andreoli da ai genitori disperati, perché i figli sono diventati ingestibili, ribelli, perché li detestano e li contestano, sembrano quasi disprezzarli, è questa: più E’ STATO BELLO IL PERIODO DELL’INFANZIA, PIU’ I RAGAZZI NELL’ADOLESCENZA SARANNO IN OPPOSIZIONE AI GENITORI. Questo perché è talmente difficile il distacco dal periodo precedente, bello e rassicurante, che l’unico modo per fare il salto è quello di mettersi CONTRO a tutto ciò che quel periodo ricorda e rappresenta. Quindi, genitori, non disperatevi, ma gratificatevi perché vuol dire che finora avete fatto un buon lavoro. L’unica cosa è sapere aspettare, perché l’adolescenza passa, e saper gestire la situazione, senza farsi prendere dal panico o dallo sconforto).

A questo punto Andreoli si chiede cosa voglia dire effettivamente educare e la sua risposta è: insegnare a vivere.
Per farlo, è necessario seguire un metodo che consiste in due punti:

  1. VIVERE INSIEME, CREARE UNA RELAZIONE. La relazione implica un sentimento, il sentimento crea LEGAMI. Non ti potrò mai trasmettere nulla se non ho una relazione con te. Ma ATTENZIONE: l’errore che noi commettiamo è quello di concepire l’educazione come una filosofia, un sapere, come il parlar bene, il conoscere la storia. Ma non è solo così. L’educazione non è il trasmettere verbalmente una serie di informazioni o regole. Ricordiamo innanzi tutto l’origine di questa parola, la sua etimologia, che deriva dal latino: ex-ducere, condurre fuori. Ovvero: tirar fuori il meglio dalle risorse interiori di una persona, metterla in condizione di sviluppare appieno tutte le sue potenzialità, per come può e per quanto può, ma al meglio di sé stesso. Dare tutti gli strumenti per questo percorso, stare a fianco nel processo educativo, ma non inculcare. Stare affianco corrisponde al vivere insieme di cui parla Andreoli e non significa dire, parlare, magari telefonare, collegarsi in skype, ma CONDIVIDERE, FARE LE COSE INSIEME, DIVENTARE ESEMPIO. Bisogna non sottovalutare il linguaggio del corpo, la comunicazione non verbale, stando attenti sia a come comunichiamo noi tramite il linguaggio non verbale con i nostri figli, sia riuscendo anche a cogliere i segnali che i nostri figli ci mandano. (Spesso da me vengono genitori che si preoccupano per cosa i figli dicono, fanno, per come si comportano, ma quasi mai un genitore mi viene a riferire che è preoccupato da quello che il figlio non dice o non fa…).
  2. PASSARE DAL CONCETTO DI IO A QUELLO DI NOI.  Questa è una rivoluzione molto difficile, ma molto importante secondo Andreoli, perché si distacca da quello che è stato per eccellenza l’oggetto degli studi di psicanalisi, dal 900 in poi, a partire da Freud con la sua  “L’interpretazione dei sogni”, periodo in cui  tutto era centrato sull’io. Ciò ha avuto una certa importanza, ma ora dobbiamo rivolgerci al noi.

Il concetto del NOI, della collettività, Andreoli lo esprime benissimo tramite la metafora DELL’ORCHESTRA e fa riferimento soprattutto a Famiglia e Scuola. Pensiamo alla famiglia come un quartetto di musicisti. Ognuno esercita il suo ruolo come ogni musicista suona il proprio strumento: chi il violino, chi la viola, chi il violoncello o il flauto. Ogni musicista ha un compito preciso, che deve svolgere al meglio, ma pur essendo un ottimo professionista il risultato finale non sarà ottimale se tra tutti i musicisti non verrà creata armonia, se non integreranno le loro professionalità. La stessa cosa avverrà nel famiglia e, non a caso, Andreoli individua nella mancanza o nella confusione di ruoli uno dei più grossi problemi. Come in un quartetto non serve ci siano due violini, o due violoncelli, così in una famiglia non servono ad esempio due mamme, o meglio una mamma e un mammo. Ma di questo ne parleremo magari più tardi.

Continuando nell’excursus del libro, l’autore ribadisce quanto ai ragazzi sia importante dare delle certezze, soprattutto in un periodo confuso come quello dell’adolescenza. E il problema, secondo Andreoli è proprio quello che mai come in questo periodo storico viviamo invece in una società in continua trasformazione, dalla quale giungono segnali contradditori, nella quale i valori antichi sono stati sostituiti da altri più effimeri come il denaro, il potere e la bellezza, dove non siamo in grado di  garantire un futuro certo ai nostri ragazzi e quindi nemmeno a motivarli ad impegnarsi e a far fatica per raggiungere degli obiettivi.

Dobbiamo reintrodurre il concetto di BISOGNI: sappiamo quali sono realmente i bisogni dei nostri figli? Ma non quelli indotti, quelli reali. La realtà è che oggi c’è un’ingegneria meccanica dei bisogni e non lasciamo nemmeno che i nostri figli li manifestino, che già li abbiamo soddisfatti…

Io mi occupo di formazione a livello individuale su tematiche emotivo-relazionali. Vedo persone che si rivolgono a me per le problematiche più diverse, dal lavoro, al bisogno di autostima e motivazione, a problematiche di coppia o alle difficoltà di comunicare. Così come sempre più spesso vengono da me genitori di bambini o ragazzi adolescenti, disorientati da figli maleducati, svogliati, insoddisfatti, ribelli. Anche se i problemi sembrano tra loro profondamente diversi, c’è invece un unico filo conduttore in tutte le situazioni: ed è proprio questa difficoltà a relazionarsi, a comunicare, a entrare in relazione. Quello che posso dire di aver capito è che il primo e vero bisogno dei nostri figli è quello di imparare a gestire i legami, le relazioni, l’affettività e soprattutto quello di ritornare a vedere in questi concetti dei VALORI. I ragazzi di oggi sono tutti estremamente intelligenti, ma altrettanto estremamente carenti a livello affettivo ed emozionale. Sono tutti abilissimi nelle tecnologie ed esperti del mondo digitale, ma ricordiamoci che, per quanto strumento utile e straordinario per l’apprendimento, Internet non potrà mai sostituire nemmeno il peggiore dei padri!

Ma Come si fa ad educare se non si comunica??? E per comunicare devo conoscere il mio interlocutore e trovare il modo migliore per sintonizzarmi sulla sua lunghezza d’onda. Devo entrare in armonia con lui.

Io non credo, come dicono in molti che la famiglia sia scomparsa, penso però che si sia profondamente modificata e forse non in meglio. Tutta la nostra società si è modificata e questo rende ancora più difficile orientarci e trovare delle regole, perché è tutto nuovo e non abbiamo modelli precedenti cui ispirarci. La famiglia, dicevo non è più una piccola orchestra, ma un luogo dove ognuno suona il suo strumento, una somma di Io separati. Non funziona. Pensavamo che il problema dell’educazione si risolvesse aumentando il numero degli asili. E invece è ancora sulla funzione dell’educazione familiare che dobbiamo puntare. Per questo io punto molto nei miei incontri sullo sviluppo dell’Intelligenza Emotiva, per racchiudere tutto in un’unica parola, ovvero lo sviluppo di quelle competenze che non sappiamo forse nemmeno di possedere, che ci consentono di conoscere noi stessi, accettarci con i nostri limiti (Fragilità/Debolezza), imparare a costruire legami e gestire relazioni, a comunicare in modo non violento, ovvero finalizzato a non interrompere i rapporti, soprattutto in un periodo delicato come quello dell’adolescenza.

Vedete quindi qual è il senso della parentesi del titolo: se non modifichiamo qualcosa, e presto, a livello sociale, non possiamo allo stato attuale delle cose sperare di poter singolarmente dare un’educazione ai nostri figli. Né si può pensare che oggi l’educazione sia affidabile ad un’unica entità: o la famiglia, o la scuola, o l’oratorio, o la società sportiva… E non dobbiamo soprattutto permettere che questi soggetti entrino in competizione tra loro, scaricando doveri, colpe e responsabilità da uno all’altro. Deve entrare in gioco il concetto metaforico proposto da Andreoli, quello di orchestra, di armonia.

* Testo tratto dalla conferenza tenutasi mercoledì 10 settembre 2014 ore 21.00
presso il Centro Polifunzionale di Cassinetta di Lugagnano (MI)

Written by Cristiana Clementi