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Il mio nemico carissimo: il Sè ideale

Ma quante volte ci siamo ritrovati a chiederci se avevamo fatto la cosa giusta, se in quell’occasione avremmo potuto essere migliori, se eravamo all’altezza di chi ci stava accanto, se avevamo deluso qualcuno, se era stato giusto arrabbiarci a quel modo, se forse non avremmo dovuto evitare di comportarci così, se eravamo poi tanto cattivi come la rabbia che avevamo dentro ci faceva pensare di essere,  se eravamo in grado di svolgere bene il nostro ruolo o  eravamo inadeguati, se…se…se…?

Chi di noi non si è mai interrogato su queste cose e chi di noi non si è giudicato,  criticato, condannato per questi aspetti? Beh, penso quasi tutti. E fino a qualche anno fa, anch’io ho fatto parte della folta schiera dei “giudici di se stessi”, quei giudici che (contrariamente a quanto si pensa normalmente dei magistrati!) non sono mai in sciopero, lavorano anche nei weekend e a Ferragosto, emettono le loro sentenze in un unico grado di giudizio e senza appello. Ma soprattutto, quei giudici che non sbagliano mai. In effetti la tendenza di chi giudica sé stesso, è proprio quella di essere intransigente fino all’esasperazione e di non ammettere di avere una visione parziale, o di parte, della propria essenza.
Sì, ma…che vitaccia ragazzi!

Poi, un giorno, mi sono imbattuta nella mia intelligenza emotiva, che ha fatto capolino approfittando di un attimo di distrazione della razionalità che di solito mi contraddistingue, e tra noi è stato subito amore! Mi si  è aperto un mondo, ho iniziato a guardarmi con  occhi diversi, regalandomi consapevolezze nuove. Ho iniziato ad accogliere (e non dico a condividere….anzi, di condividere non se ne parla proprio!) tutti quegli aspetti di me che rappresentavano fino a poco prima un problema. Mi sono accorta che quella gran fatica quotidiana per essere sempre “all’altezza di….” in realtà non rispondeva ad una mia reale necessità, ma alla voglia inconscia di soddisfare le aspettative di chi, fin da quando ero piccola, sicuramente in buona fede e pensando esclusivamente al mio bene, mi aveva fatto capire cosa si sarebbe aspettato da me, o meglio, da quella bambina che pensava io fossi, e che un giorno si sarebbe  sicuramente potuta trasformare in una “donna ideale”.  A quel punto quindi la folgorazione: ma allora? vuoi vedere che il sé ideale che mi sono prefissata di realizzare, non è affatto il mio, ma il riflesso di quello che gli altri vedevano in me? consapevole di questo, il problema si è modificato e, soprattutto, semplificato. Diventa molto più facile guardarsi con benevolenza e accoglienza, se ci si ama per quello che si è,, con pregi e difetti, senza fare paragoni con quello che dovremmo essere o che potremmo diventare, convincendosi soprattutto del fatto che la prima persona a cui dobbiamo piacere, siamo proprio noi. A noi stessi, prima che agli altri,  dobbiamo concedere il lusso di essere imperfetti, di sbagliare, di ricrederci, di scegliere di modificarci o rimanere uguali, di essere meravigliosi e al tempo stesso orrendi, di essere proattivi ed egoisti, incazzosi e troppo pazienti, autosufficienti e autonomi o affettivamente dipendenti. insomma: dobbiamo concederci il lusso e il privilegio di…. essere umani!!!!

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Parliamo, parliamo, parliamo…ma comunichiamo???

Non sempre un malessere interiore, un momento di incertezza, di dubbio, uno stato di indecisione sul cosa fare o come comportarsi,  una difficoltà a relazionarsi in modo sereno con chi ci circonda, nascondono una problematica di tipo psicologico. Ad ognuno di noi capita nella vita di tutti i giorni di dover risolvere problemi che all’improvviso ci appaiono insormontabili, oppure ci sembra di non riuscire a gestire l’ansia o lo stress che ci provoca il dover prendere una decisione difficile, e questo spesso rischia di farci sprofondare nello sconforto e, di conseguenza nell’isolamento.

La solitudine è uno dei mali peggiori della nostra società, che per assurdo mai come in questo momento è bombardata da parole, da immagini, da social media che imperversano, da Twitter che cinguettano e da amicizie che si concedono, senza sapere a chi. Ma tutto questo parlare, nasconde in realtà una totale mancanza di comunicazione. Sì, perchè la prima caratteristica di una buona comunicazione non è il parlare, ma il saper ascoltare. Ma come si fa ad “ascoltare” un messaggino, un collegamento in chat, una mail o un sms? Certo, non è facile farlo e a volte nemmeno gli addetti ai lavori ci riescono.

Eppure, anche questi nuovi modi di relazionarsi, ci dicono qualcosa e ci parlano spesso proprio di solitudine e di isolamento, di ragazzi che non trovano altro modo per stare in compagnia, di bambini che non hanno qualcuno con cui parlare se non un bellissimo tablet, di persone che per sentirsi al centro dell’attenzione e percepirsi parte di un gruppo, si affidano a  comunità virtuali. Ma in tutto questo chi ci rimette è la relazione… questa sconosciuta. Non per nulla nel gergo dei “digitali” si parla di contatti, e un contatto (appunto…) non è una relazione, non è un rapporto, non è un vero scambio, perchè la voglia di parlare, di postare, di twittare, di dire la propria, di proclamare  “mi piace”, “non mi piace” , “non mi piace più”,  sovrasta la voglia di ascoltare chi si ha  di fronte.

Non è quindi una vera priorità quella di recuperare il valore della relazione, dello star bene insieme, ma soprattutto dell’iniziare a star bene con se stessi? Imparare a conoscersi, a guardarsi dentro, a riconoscere le proprie qualità, ad accogliere i propri lati deboli, è il primo passo per risolvere quei problemi di ansia, stress, disagio, sconforto che spesso ci fanno scappare da noi stessi per rifugiarci in un mondo virtuale pieno di immagini, voci, parole, contatti…e di tanta solitudine.

Come dicevo all’inizio di questo articolo, non sempre è necessario ricorrere all’aiuto di uno psicoterapeuta o di uno psicanalista per conoscere sé stessi. Esistono percorsi di formazione individuale, che aiutano a capire quali sono i propri meccanismi relazionali, le mappe mentali che attiviamo abitualmente, i dinamismi psicologici che stanno alla base delle nostre azioni, grazie ai quali acquisiamo consapevolezza di noi e capacità di affrontare e gestire con positività il nostro qui e ora.

Il metodo che uso abitualmente e propongo ai miei clienti si chiama Training 1to1.