Perché ciò che è più pericoloso non sempre fa paura?

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Come può accadere che un soggetto normalmente responsabile, accetti talvolta di correre un rischio elevato sul posto di lavoro? In moltissime situazioni della vita quotidiana, un individuo non metterebbe mai in atto un comportamento che fosse altamente rischioso per la sua incolumità personale, ma questa necessità di auto-protezione non è sempre percepita allo stesso modo da parte di chi si mette al lavoro.

Ciò avviene perché nell’individuo convivono due forme di pensiero: quello controllato e quello automatico. Applicando il primo, l’individuo pensa in modo razionale e consapevole. Mettendo in atto il secondo invece, l’individuo usa tutta quella parte del pensiero che sfugge al suo controllo e adotta delle decisioni automatiche, ragionando in modo inconsapevole. Il rischio che si corre in questo caso è quello di cadere in distorsioni che non ci permettono, ad esempio, di avere una corretta percezione del rischi. file://localhost/Users/cristiana/Desktop/gas%20auto.jpeg

Un esempio riferito ad uno  specifico campo di interesse, il settore verniciatura, è quello che si verifica davanti ai c.d. eventi invisibili, quelli che ci raffiguriamo con maggiore difficoltà, perché non sono di facile rappresentazione. Nella vita quotidiana, l’esempio più calzante è quello della difficoltà a percepire i danni derivanti dal fumo. Nel campo della verniciatura, si pensi invece alla pericolosità di solventi e diluenti, di pigmenti coloranti, di additivi di vario genere, tutti con elevate proprietà tossiche, i cui effetti però, in quanto non immediatamente e concretamente visibili, vengono percepiti con maggiore difficoltà e, di conseguenza, sono meno temuti.

E’ in casi come questo che una pericolosa sottovalutazione del rischio, può aumentare la probabilità che l’evento dannoso si verifichi.

Strumenti per misurare la Percezione dei Rischi

EEG-biofeedback (*)

Alla base di questo modello di analisi, vi è una nuova e approfondita comprensione dei meccanismi consci e inconsci dei comportamenti delle persone. L’EEG -biofeedback è una metodologia non verbale che rileva e amplifica alcuni segnali biometrici, quali l’attività elettrica cerebrale che consente di visualizzare le variazioni dinamiche degli stati cognitivo/emozionale.

L’EEG-biofeedback è in grado di registrare, istante per istante, le reazioni neurofisiologiche del soggetto in esame, come rilevando l’attività elettrica del cervello (EEG). L’analisi spettrale dei segnali elettrici generati dal nostro cervello (EEG) permette di individuare le frequenze elettriche che misurano i diversi stati emotivi e cognitivi dell’attività svolta in quel momento dall’osservatore, riuscendo così a collegare le sue reazioni al contesto in cui si trova, attraverso una videoregistrazione, soggettiva e oggettiva, consentendo di ricostruire esattamente l’esperienza vissuta.

L’EEG- biofeedback rileva le reazioni neuro-fisiologiche/emozionali di ogni soggetto sottoposto al test, e le trasforma nei seguenti indicatori:

  • Attenzione generale (intensità dell’attenzione)
  • Focus (attenzione ai particolari)
  • Potenziale di memoria (capacità di memorizzare gli stimoli)
  • Potenziale evocativo (capacità di recuperare informazioni e emozioni da associare agli stimoli)
  • Decoding (livello di difficoltà dell’esperienza)
  • Ansia

Eyetracker (*)

L’eyetrcker è una tecnologia oggettiva che analizza i meccanismi della percezione visiva. Registra la direzione delle sguardo, utilizzando una tecnologia ad infrarossi per individuare dove si focalizza l’attenzione (punti di fissazione, per quanto tempo lo sguardo si fissa su un determinato punto) e che consente di delimitare delle aree (AOI- Area of Interest) corrispondenti agli elementi definiti dall’ analisi (claim, immagine, brand et al.) e verificare per ogni AOI il tempo di permanenza dello sguardo e l’intensità dell’attenzione visiva.

* Attualmente questo tipo di analisi vengono svolte dai laboratori di Neuromarketing della società 1to1lab di Milano.

Per una nuova filosofia di Sicurezza sul Lavoro: la Percezione del Rischio

Dopo anni di attività nel campo della formazione in azienda, sono arrivata a questa conclusione: la necessità  di una nuova filosofia, relativa alla sicurezza sul lavoro. Un approccio innovativo che, per avere successo, non può prescindere da un dato inconfutabile: quanto e come viene percepito il rischio nelle varia attività lavorative.

Si è più volte spiegato in cosa consiste il concetto di informare/addestrare/ formare, ma nelle varie attività (industriali, artigianali  e del terziario) a chi viene demandato tale compito?

Normalmente nelle aziende la formazione dei lavoratori viene svolta dal RSPP (Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione), spesso coadiuvato da enti esterni che, prima di procedere vengono edotti sulle realtà operative con cui vanno ad interagire. Nelle PMI, che sono il tessuto organico del nostro Paese, la figura del RSPP spesso è ricoperta direttamente dal datore di lavoro, cui spetta quindi l’obbligo di provvedere personalmente alla formazione dei suoi dipendenti. Voce a parte è la realtà delle grandi aziende, dove invece l’addestramento e la formazione vengono demandati al RSPP coadiuvato dai vari capi reparto per quanto riguarda l’addestramento dei lavoratori alle specifiche mansioni.

È particolarmente in questo secondo caso che sarebbe opportuno valutare la reale abilità dei preposti nel percepire i pericoli e i rischi inerenti alle varie fasi lavorative, perché nella realtà purtroppo, sono proprio queste le figure più reticenti all’approccio sistemico del problema sicurezza, adducendo che l’elemento determinante per un buon lavoro è solo l’esperienza.


Motivi dell’intervento, analisi della domanda e dei bisogni

È proprio a partire da quest’ultima affermazione, che prende l’avvio il progetto di seguito illustrato. Un intervento mirato che trova motivo nell’esigenza di analizzare ed approfondire la tematica della sicurezza sul lavoro, affrontandola da un punto di vista psicologico-cognitivo e formativo. Il punto focale dell’intervento ricade sul complesso fenomeno della percezione del rischio da parte degli utenti e sulla necessità di una sua misurazione funzionale e di supporto a chi ha il compito di formare i lavoratori stessi (Datore di lavoro/RSPP/Preposto).

Le domande che sottostanno all’intervento, quindi, sono molteplici:

  1. I lavoratori, compreso colui che li forma e addestra, sono realmente consapevoli dei rischi presenti sul luogo di lavoro?
  2. La consapevolezza di tali rischi e sufficiente a proteggerli da tali pericoli?
  3. L’abitudine e l’assuefazione, causata dallo svolgere mansioni ripetitive, provoca un calo di attenzione durante l’esecuzione delle stesse, diventando anch’essa una probabile fonte di pericolo?
  4. La figura preposta alla formazione è in grado di assolvere alla sua funzione formativa, nei confronti dei lavoratori? E’ quindi in grado di formare in modo adeguato, esaustivo e funzionale, l’utenza sulla corretta percezione dei pericoli sul posto di lavoro?

Finalità dell’intervento

La finalità di questo metodo è quella di rendere finalmente misurabile, con metriche scientificamente testate la percezione reale del rischio negli operatori, addetti alle diverse mansioni, consentendo così di individuare i nessi di causalità tra criticità e verificarsi degli infortuni. Ciò avviene tramite:

  • Analisi approfondite e mirate della percezione del rischio: riconoscimento dei punti deboli, delle criticità e verifica di come è percepito attualmente il rischio (CECK)
  • Formazione ad hoc (Datore di lavoro/RSPP/Preposto) per una corretta ed efficace trasmissione di informazioni sulla sicurezza.